Il pacchetto è chiuso. Ho aggiunto due fiorellini e nastri di raso rosa salmone. Curo i gesti con amore, affinché non si perda nemmeno una piccola parte del significato di ciò che sto facendo. Scrivo due parole ma che siano quelle giuste, altrimenti sono parole inutili.
Penso a quella ragazza, destinataria del mio affetto.
Venticinque anni. Oggi.
I capelli castani e gli occhialini rettangolari. Il suo viso è grazioso, intrigante, interessante e pieno d’espressività. È loquace e sa farmi sorridere. Una giovane laureata Iulm ma ribelle e anticonformista. Mi piace. Sembra la figlia che non ho mai avuto. Con tutti i suoi difetti, le sue paure ed i suoi dubbi.
Con lei divido alcuni miei momenti di pausa lavorativa. Momenti in cui non sento regressione temporale. Mi sento madre e sorella. Amica e collega.
Stasera ci vedremo. Sarà la prima volta al di fuori dei nostri ruoli assegnati.
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Tra meno di un ora sarò di nuovo in corsa per il quotidiano. Sono mesi intensi. Si prospettano altrettanti mesi intensi. Da quando il mio giovane adolescente ha ripreso la scuola, mi sono data dei tempi più stretti. Non si può sposare un’azienda. Sacrificare proprio tutto. Ho già sacrificato un matrimonio.
Lavorare mi piace così tanto che spesso non mi rendo conto del tempo che passa. Di quello che c’è fuori. E allora darmi delle regole diviene necessario. E lo devo fare per qualcun altro, prima che per me stessa.
Il progetto che sto facendo, in corsa con quello di una collega, è stato rivoluzionato completamente. Ha perso una parte del significato iniziale. Ma l’importante è che il cliente sia sempre contento e che, comunque, io abbia potuto interpretare a modo mio un prodotto così fermo nelle sue impostazioni. Una parafrasi delle loro esigenze, certo. Ma la mia.
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Ho ancora tanti sogni nel cassetto. Faccio fatica a srotolarli, perché si sono aggomitolati tempo fa lasciando un po’ di nebbia fra i miei pensieri. Ma ci sono. Questo è un buon segno, penso. Segno di una mente sempre in fermento. Le speranze. Quante. Su me stessa. Sui miei figli.
E così la vita segue il suo percorso. Io mi sento fatalista, anzi, un po’ fatale.
Proprio ora noto che questo tipo di connotazione è sempre più forte nei miei ragionamenti scritti. Non ero così fino a…
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Sono in conflitto con il mio corpo. Per quanto mi sforzi, non riesco a fermarlo. Spesso il desiderio del cibo è più della richiesta del mio fisico. È una consolazione. Un’alienazione.
I sapori intensi mi avviluppano ed io ne sono assuefatta.
Il giorno dopo mi guardo in modo cinico e rispondo cattiva a me stessa oppure rido di me.
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Il tempo stringe. Devo assolutamente farmi la doccia, sistemare i capelli…
Venti anni fa mi svegliavo per indossare il mio abitino azzurro a tunichetta, con la coroncina fra i capelli cortissimi e neri mi avviavo al braccio di mio padre verso un ragazzo sorridente che mi aspettava ai piedi dell’altare. Amavo quel ragazzo di un amore fatto di rabbia. Ne abbiamo pagato le conseguenze.
Oggi mi vestirò d’azzurro.