Domenica. Una famiglia milanese si ritrova per la ricorrenza della morte del padre. Viene celebrata una messa.
La famiglia, madre, il suo attuale compagno, i due figli con relative mogli, il bimbo di uno dei due figli (di due anni) e “Maria” la mamma di una delle due mogli.
Si aggrega un’amica di famiglia. Forse qualche altro avventore.
Ogni giorno Maria si occupa del piccolino. È dolce la nonna Nini, come la chiamava anche suo marito. È stata insegnante di scuola materna per tantissimi anni, non ricordo quanti. Ama i bimbi come se fossero tutti piccoli angeli. Ha per loro un rispetto profondo. Passa ore di devozione con quel piccolo bimbo, quella creatura di sua figlia che glielo rende universalmente più caro. Lo ama come se fosse uno dei suoi tre figli. Da quando tre mesi fa suo marito se n’è andato si dedica ancora più intensamente al piccolo. Le riempie la vita. Le dona il sorriso.
Maria è segnata profondamente dalla perdita ed il peso della solitudine in cui si è trovata viene alleviata dal suo ultimo figlio, l’unico maschio, che vive ancora con lei, e da quella piccola creatura. Da qualche tempo Maria sta cercando di tornare, con molta fatica, a sorridere alla vita.
Decide di accettare l’invito. È serena, anche se la famiglia di suo genero, e suo genero stesso, ai suoi occhi sembrano un po’ polemici e anarchici è sicuramente una bella occasione per stare vicino ai suoi cari. Vuole bene alla gente, è una persona aperta e disponibile. Sa che ogni persona ha un lato positivo, lei lo cerca e lo trova. È rispettosa.
È già stata in quel posto in un’altra circostanza. Allora c’era ancora suo marito e sua figlia aspettava il bambino. Il ricordo di quel giorno le faceva salire le lacrime agli occhi. Suo marito si era lasciato convincere a suonare con sua figlia facendo una sorta di “concerto” in mezzo alla natura. Un pianoforte ed un flauto traverso. Il suono delle note ancora nelle orecchie, mentre domenica mattina percorrevano la strada per andare in quel luogo. Maria ha comprato una colomba pasquale, un dolce di pace.
La prima domenica di primavera. L’inizio della primavera.
La giornata non è gran cosa ma il posto è comunque un incanto. In prossimità di un bosco. La casa è fuori dal centro abitato ma non è isolata.
Un’opportunità come tante altre per trovarsi e stare insieme. Ognuno ha portato qualcosa per pranzare.
Finito il pranzo inizia il solito rituale delle chiacchiere e del relax. I discorsi si concentrano sugli stili di vita, sui modi di essere. La padrona di casa spara sentenze sui giovani tatuati. Maria pensa a suo figlio. È così dolce, ha un animo così buono, un gran lavoratore. Ha cinque tatuaggi bellissimi, pieni di colore, che rispecchiano i suoi colori interiori. Ovviamente non condivide ciò che sta sentendo, ma non ritiene certo opportuno sollevare una polemica. Mentre ancora sta finendo le sue elucubrazioni sui tatuaggi saltano fuori sacchettini di marijuana. Rollano una canna. L’accendono. La fumano. La padrona gliela porge. Maria rifiuta, ovviamente. Non le piace questo rituale. Non è certo critica sul fatto che qualcuno desideri fumarsi delle canne ma non le piace questa libertà di porsi. C’è un bambino. C’è lei, che malgrado sia di famiglia è comunque un’ospite. Cerca sua figlia. È fuori. I suoi pensieri cominciano a piangere. Si controlla e cerca di mantenere un atteggiamento dignitoso mentre la padrona di casa si vanta delle piantagioni di marijuana che ha nel suo appezzamento di terra.
Torna a casa con il cuore gonfio. La mancanza di rispetto che ha dovuto sopportare ha limitato profondamente la sua libertà. Libertà di sentirsi se stessa.
Fino a che punto è giusto accettare la libertà degli altri se la stessa libertà limita la nostra?