– Andiamo a sentire cosa è successo davvero. Possibile che il tuo prof. d’inglese ti ha richiamato solo perché masticavi una gomma durante la sua lezione, ti ha dato una nota e mi ha convocata? –
Sono in netto anticipo. Il prof. riceve solo alla terza ora ed io sono arrivata a scuola con 50 minuti d’anticipo. Poco male. Ne approfitto per farmi dare l’elenco dei nominativi degli allievi della classe e di tutti i professori, visto che sabato sono ufficialmente diventata la rappresentante di classe.
In bidelleria chiedo conferma della presenza del prof. e mi accomodo paziente in attesa di vederlo. Mi guardo in giro. La timidezza che mi contraddistingue quando arrivo in un posto nuovo comincia a lasciarmi. Intanto ripenso alla segreteria. È aperta al pubblico solo due ore, sono comunque entrata dietro invito dell’uscere. Gentilissimi, non c’è che dire, ma direi che quel posto nulla ha a che vedere con l’ufficio dove lavoro. Una pacatezza ed una flemma quasi incredibile. Preferisco evitare i paragoni e chiudo mentalmente la questione aperta con me stessa.
L’attesa continua. I muri rosa e le luci basse mi infastidiscono. Vedo gironzolare professori e li guardo con una nota di disappunto. Non riesco a spiegarmi perché, soprattutto gli uomini, abbiano un’aria così sparuta e trasandata. Circolano cariatidi che avranno una sessantina d’anni. Ridacchio fra di me pensando a quanta gente in gamba e dinamica ci sia in giro. Mi rimprovero perché in fondo non è l’aspetto che determina la preparazione e l’intelligenza di una persona. Anzi. Ciò nonostante, non posso fare a meno di pensare che, quella scuola, quelle persone, prepareranno i nostri figli ad un ambiente professionale legato alla comunicazione ed al rinnovamento. Un ambiente così vicino e simile al mio mondo professionale.
Suona la campanella. La seconda ora è terminata e per venti minuti ci sarà l’intervallo. Sento che la bidella si avvicina a qualcuno avvisandolo della mia presenza. Sono nascosta dai cartelloni dove vengono esposti i risultati di fine anno e non sono vista come del resto non mi è possibile vedere da chi esce la voce che in modo asciutto informa che dopo l’intervallo mi avrebbe parlato. La bidella si avvicina e mi informa con un sorriso gentile. È una bella donna, sui quaranta, non porta il grembiule azzurro, come le bidelle dei miei tempi. È dinamica, sempre in movimento e mi da una bella impressione.
Attendo ancora paziente che l’intervallo si concluda. Passeggiano in modo più o meno rumoroso ragazzi e ragazze coetanee di William o poco più grandi. Sono tutti un po’ come lui. Pantaloni sbragati i ragazzi, camminata flemmatica. Mezze nude le ragazzine e penso che sto gelando.
Finalmente l’intervallo è passato. Il prof. si avvicina al banco della bidelleria chiedendo del genitore in attesa.
Si avvicina. È un tipo tra i quarantacinque, cinquant’anni. Jeans e camicia. Capelli argentati e viso segnato dalle rughe del sorriso. Confido in quelle rughe sperando di trovarmi di fronte ad una persona loquace ed affabile. Lo accolgo con il migliore dei miei sorrisi e lo saluto stringendogli la mano. Presa molle. Lo sento ostico. Mi intimidisce ma evito di pensarci. Mi presento e apre il registro alla pagina di mio figlio. Non mi parla di andamento scolastico, non mi fa vedere risultati. Solo quattro richiami, da settembre al 7 ottobre, notificati con la stessa dicitura “durante le lezioni non si comporta in modo consono e disturba”. Due notificazioni risultano essere state passate anche alla famiglia. Solo una firmata.
Ci risiamo, penso fra me. Ma chiedo gentilmente di chiarire la dicitura che per quattro volte viene ripetuta in modo uguale. Non capisco se è un monotono o un metodico. Mi innervosisco perché lo sento eccessivamente vicino, non traggo beneficio dalla sua presenza immediata e non mi comunica sensazioni piacevoli. Ma non sono lì per quello e mi concentro su mio figlio. Apro la mente alle sue mancate spiegazioni.
– Cosa significa che non si comporta in modo consono? – chiedo – Significa che grazie a lui le mie lezioni sono frammentate e disordinate, mi ritrovo a riprenderlo troppo spesso perché disturba, e ne consegue che i suoi compagni ne pagano gli effetti. – Lo guardo con la faccia a punto di domanda. Sembro una cretina? Non mi interessa. Chiedo nuovamente di spiegarmi. Si innervosisce e continua a tentennare.
– Mettiamola così. Mio figlio ha detto che la nota è arrivata perché stava masticando una gomma. – lo guardo dritto negli occhi. Ci pensa un momento e vedo salire un rossore di rabbia sul suo viso. – Durante le lezioni d’inglese, e per la pronuncia che si deve tenere e per la forma, non si masticano gomme, non si mangia e non si beve. – mi trovo assolutamente d’accordo con lui ma non vengo capita. Nel cercare di spiegargli che sono d’accordo si inalbera ulteriormente. È convinto d’avere d’avanti la solita mammetta rompicoglioni che cerca di perorare la causa del proprio bambino. Dati i precedenti di William gli chiedo se, per caso, la classe fosse particolarmente vivace.
– Non penserà che mi metto a raccontarle come si comportano i miei allievi? Non sono tenuto a dirle nulla, per la legge sulla privacy, e comunque non sono cose che le riguardano, le deve solo interessare come si comporta suo figlio. – Sono basita. Sto tipo o è un cretino o è un provocatore. Ha sicuramente dei precedenti con altri genitori che gli hanno dato delle difficoltà. Mi vuole mettere subito in riga prima che possa essere un disturbo per lui per tutto l’anno che verrà.
Piccata gli rispondo che a me non interessano i singoli casi. Volevo farmi un’idea della classe in generale per capire se mio figlio potesse essere trascinato da elementi più forti di lui.
Mi guarda sempre più seccato. Si chiude in poche parole che sono rappresentate da “suo figlio disturba, e, vista la situazione, l’elemento trascinatore sarà proprio lui. Deve imparare a comportarsi come si deve durante le mie lezioni!” ritorno indietro di un passo e insisto ancora sugli episodi specifici. Chiedo spiegazioni. Non arrivano. Alza la voce. Non ha nulla da dirmi. Basta così, basti sapere solo che William deve imparare a comportarsi. O cambia atteggiamento o non farà più parte di quella scuola.
Lo guardo dritto negli occhi e lo invito ad abbassare la voce. Anche questa è privacy, penso fra me. Si innervosisce ancora di più, mi guarda malamente e mi ammonisce ricordandomi che lui ha investito la sua pausa per parlarmi, che i colloqui si sarebbero aperti il 26 ottobre. Lo guardo come una iena e lo informo, con un sibilo, che ho investito tre ore di permessi non retribuiti per andare a parlare con lui. Che lavoro dall’altra parte di Milano e, cosa di immensa importanza, se sono lì è perché mi ha convocata lui. Lo invito ad avere un atteggiamento più aperto e ragionevole poiché quella non sarebbe stata l’ultima volta che mi avrebbe vista e si sarebbe dovuto relazionare a me anche in circostanze più ampie poiché rappresentavo tutti i genitori di quella classe.
Il suo silenzio è stato più che eloquente.
Mi sono alzata per accomiatarmi e gli ho teso la mano salutandolo. Si è girato di scatto e se n’è andato, lasciando che la mia mano cadesse nel vuoto.